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Dalle sue prime prove poetiche degli anni ’60, all’insegna delle leggendarie edizioni di Bino Rebellato, a questo “scarabocchio” del 2000 – come l’Autore stesso lo definisce – corre un iter inquieto e coerente di un uomo che sa soffrire il progress di una civiltà che è una viltà in assoluto. Il testo rinvenuto nell’archivio personale di Siro de Padova, poeta di lunga data, lo concede agli editori che lo hanno riconosciuto nel ’99 poeta del Casentino.
Sembra emergere da un greto fluviale tanto è petroso, ampio di insidie e di lunghe domande. Un dettato che sembra una sonata sgrammaticata da pianista pazzo. Eppure così moderno – benché datato – da fornirci un affresco della società attuale.
Con il ritratto umano che Siro de Padova fa - in seconda battuta - su Cesare Zavattini, il suo più famoso amico letterario, si rivela a sua volta un poeta davvero insolito nelle lettere italiane, come lo definiva Za, il maestro dall’indice sicuro, che con il suo fiuto l’aveva già collocato nell’ambito che gli è proprio.
Si tratta di una parola che ha la capacità di risvegliarci dal torpore dell’oggi.