Non ci si può accostare alla poesia di Roberto Di Pietro senza tener conto di due peculiari risvolti di lettura che mi piace immaginare quasi suggeriti dal mondo della fisica: la concentrazione della luce attraverso lente (dove luce sta per progetto comunicativo e con lente si vuole intendere il senso - e il valore - segnico dell'epigrafe), e la riflessione della voce attraverso specchi (dove, parlando di riflessi e specchi, si cerca di dare figura alla funzione plurisignificante della phoné, sempre intrinseca al tessuto metrico quanto alle fluttuanti tonalità lessicali di questa poesia). Chiamare in causa la phoné vuol dire esser sicuri di poter individuare - e decisamente accogliere - il peso della valenza vocale nella comunicazione poetica, assumerlo come presupposto stilistico nel carattere globale del componimento e nel suo progressivo rivelarsi, riconoscergli un'apertura esponenziale imprescindibile. Contrappunto, polifonia, politonalità: Di Pietro mostra con inimitabile provocatoria chiarezza i modi in cui la poesia odierna può presentarsi in coordinate di 'linguaggio totale' e contenere comodamente in sé strutture musicali (senza equivocare: non dico di musicalità ) e linfa teatrale insieme arcaica e inedita.
Rodolfo Tommasi