Se c’è nella situazione umana una corda tesa da cui scoccare la freccia dell’odio, essa è proprio questa, del servo-signore, della serva-signora, con le varianti indicate, con tutti gli eufemismi sociali possibili, la condizione del dominio, il sadismo del dominio e della sopraffazione imposta e subìta, e nel dramma derivato, anche se tiene conto di altre sensibilità e fragilità umane, è fatta risaltare con evidenza insopprimibile l’amarissima difficilmente sostenibile, perché non paritariamente umana, tensione destinata, se non sempre a esplodere, a stagnare o marcire nel malessere, nell’ansia paurosa delle relazioni squilibrate.
(dalla Nota introduttiva di Marino Biondi)
Elementi onirici e visionari, che richiamano truci immagini fra grida di Erinni eschilee ed echi di nenie stregonesche macbethiane, viste e udite nella “selva oscura” dalla protagonista, aprono la rappresentazione su una stratificazione di livelli fra visibile e invisibile e di sovrapposizioni di connessioni degli elementi del reale e dell’immaginario. Le visioni interiori della protagonista amplificano le tensioni che si riverberano sulla scena nella relazione di contrasto con la serva-badante Carmen, appassionata spettatrice televisiva, che non riuscendo a comprendere e a entrare nel mondo della Signora, si limita ad assecondarla: modello comportamentale esemplare di gran parte della società di oggi.
(dalla Postfazione di Pietro Bartolini, Direttore dell’Accademia Teatrale di Firenze)