Se per definire un “capolavoro” letterario o poetico, ci si deve fondare soprattutto sulla presenza, nella scrittura di un’opera, di una elaborazione fantasiosa del suo linguaggio e dell’originalità delle sue invenzioni stilistiche e metaforiche, sulle pa
Se per definire un “capolavoro” letterario o poetico, ci si deve fondare soprattutto sulla presenza, nella scrittura di un’opera, di una elaborazione fantasiosa del suo linguaggio e dell’originalità delle sue invenzioni stilistiche e metaforiche, sulle parole o i nomi o la sintassi della frase, allora questo libro che presentiamo è davvero, nel suo centinaio di pagine o poco più, un piccolo capolavoro dell’arte poetica e narrativa, un autentico “divertissement” letterario, prodotto dall’ingegno di un originalissimo e strano e addirittura misterioso autore (Francesco Mainardi), un esempio di cosa può fare l’immaginazione e il talento uniti a una cultura linguistica, legata, in tal caso, alla classicità greca e latina e alla conoscenza precisa e filosofica del mondo antico e della vita e del costume popolare di allora. Tutto questo è dentro l’invenzione di un racconto in gran parte umoristico, fatto in prima persona e autobiograficamente, da un immaginario schiavo dell’età romana, uno schiavo dotto e di cultura greca, un “polimathès”, che parla e scrive in continuazione con termini latini e greci e allusioni mitiche e filosofiche (...)
Neuro Bonifazi